"Crisi di nervi. Tre atti unici di Anton Čechov" - Visto da un nostro allievo

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Il concetto di PAROLE³ o “Parole alla terza” non è mio e non lo troverete su nessun libro: è un concetto a cui due artisti,

che con le parole e sulle parole hanno costruito la loro carriera, hanno dato finalmente un nome.Sto parlando di Caparezza e Rancore, il primo non ha bisogno di essere presentato, il secondo, all’anagrafe Tarek Iurcich, oltre ad essere ascoltato, andrebbe letto e studiato, perché nonostante il suo nome possa ingannare, è, non solo a parer mio, uno dei più grandi autori di testi che abbiamo in italia, testi rap, nel suo caso. Su Youtube c’è il video dell’incontro tra i due in cui viene enucleato il concetto di PAROLE³: in soldoni possiamo dire che: PAROLE¹ sono quelle che ogni artista sceglie per la sua opera, PAROLE² sono quelle che decide di nascondere tra le righe, una seconda lettura, un messaggio cifrato. Le PAROLE³ invece sono quelle che “scrivono” i lettori, gli ascoltatori, etc, mentre cercano di capire cosa vuole dire loro l’artista. Sono un mix di fantasia e empatia che spesso vanno a creare una nuova narrazione che si adatta più o meno bene all’opera, ma che si adatta sicuramente a chi la crea. I due artisti infatti rimanevano sempre stupiti dal come i loro fan proponessero delle elucubrazioni molto coerenti sulle loro opere a cui loro stessi non avevano mai pensato. Lo so, è un concetto molto semplice che conosciamo tutti, ma ora ha un nome e, nel mio caso, ha un’importanza particolare perché per me l’elaborazione di PAROLE³ è un esercizio che mi viene ormai automatico, anche se spesso sfocia in fantasie che si allontanano completamente dall’opera di partenza. Così dopo aver partecipato alla visione di “Tre atti unici da Anton Cechov” una parte del mio cervello ha iniziato a macinare un pensiero latente, che è diventato un rumore costante, fino a diventare un tormento. Quand’è così ho un’unica soluzione, devo metterlo per iscritto per capire se è un pensiero coerente o solamente un delirio: e da lì decido se ha un senso continuare a scrivere o meno e, soprattutto, se condividerlo. Ho riempito centinaia di pagine di PAROLE³ che poi sono finite nel dimenticatoio, ma se le state leggendo magari queste sono riuscite a sopravvivere. Io non capisco nulla di teatro, o meglio, non ho una cultura teatrale abbastanza approfondita per dire se lo spettacolo sia valso o meno il prezzo del biglietto, se gli attori fossero più o meno bravi. Ho avuto l’impressione che la recitazione, per i miei gusti, fosse sempre un po’ troppo sopra le righe, che la scrittura della parte comica fosse ripetitiva e che, soprattutto nell’ultimo atto, si cercasse troppo il consenso del pubblico. Ma c’era qualcosa che non mi tornava, mi sembrava tutto troppo smaccatamente mediocre, e così, in un angolo della mia testa ha iniziato a ripetersi l’immagine delle sedie che si rompono nel primo atto dove i due personaggi continuano a dire bugie su sé stessi additando però di falsità il morto. L’unico che rimane coerente è il maggiordomo che rimane a terra inerme e sofferente di fronte alla sfacciata stupidità dei due protagonisti. E le sedie sono la rappresentazione di tutta la scena, si mostrano eleganti, maestosi, ma si sbriciolano di fronte alla realtà. Sono come la tabacchiera e i polmoni del professore del secondo atto, o come l’anca, il cuore e la spalla del (conte? barone? non ricordo) e l’amore dei futuri coniugi. Continue finzioni e negazioni, raccontate più o meno bene. E se la risata fosse essa stessa una finzione, se quel fare macchiettistico, quel continuo ammiccamento al pubblico fosse solo un schermo. Il pubblico ride mentre tutto sul palco crolla in pezzi. Non so perché la mia memoria mi ha riportato un vecchio aneddoto raccontato da mia madre diversi anni fa. Prima come assessore alla cultura e poi come sindaco del mio paese natio, lei ha gestito per anni la programmazione del piccolo teatro locale e, ogni volta che in scena c’era uno spettacolo drammatico, all’uscita c’era sempre qualcuno che l’avvicinava per dirle: “Beo spettacolo eh, ma mi vegno al teatro par ridar non per pianser”, e lei tornava a casa sconsolata. Mi fermo qui, prima che rincorrendo i pensieri perda il filo del discorso. Io non lo so se le mie PAROLE³ hanno un senso per qualcuno, se si avvicinano anche solo in parte all’idea alla base dello spettacolo, ma esistono e, in quanto tali, io non posso ignorarle.

"Crisi di nervi. Tre atti unici di Anton Čechov" - Regia Peter Stein
In programmazione al Teatro Menotti dal 21 al 26 gennaio 2025